Ieri, durante la terapia, mi è stata detta una frase che mi ha colpita profondamente:
“Lei ha questa tendenza ad adattarsi alla situazione intorno a lei, senza pensare se sia la cosa giusta o meno.”

All’inizio l’ho presa un po’ male. Mi sono sentita colpita, quasi giudicata. Ma, riflettendoci meglio, devo ammettere che aveva ragione (sì, amici, le dottoresse hanno sempre ragione, dobbiamo rassegnarci).
Nei pochi istanti successivi a quella frase, mi sono venuti in mente tanti momenti della mia vita. Situazioni in cui mi sono adattata, a volte troppo. Relazioni, ambienti, dinamiche: mi ci piegavo senza chiedermi davvero se fosse ciò che volevo, subendo tutto passivamente.
Quella presa di coscienza mi ha provocato disagio, lo ammetto. Ma poi, dentro quel senso di disagio, ho trovato una verità: era la mia consapevolezza che si faceva spazio, reclamando attenzione.
Ma adattarsi può diventare un limite?
La capacità di adattamento è, senza dubbio, una delle capacità più preziose che abbiamo come esseri umani. È ciò che ci permette di crescere, di maturare emotivamente, di connetterci meglio con gli altri. Ma c’è un limite oltre il quale l’adattamento smette di essere una risorsa e diventa un peso.
Quand’è che questa abilità assume contorni negativi? Quali sono le conseguenze di una vita in cui il compromesso diventa la nostra abitudine automatica?
Adattarsi, di per sé, non è qualcosa di sbagliato, anzi. Ma se lo usiamo come un meccanismo per fuggire da noi stessi o per evitare di affrontare le nostre responsabilità, rischiamo di attivare dinamiche poco sane.
Per tanto tempo ho pensato che la mia capacità di adattarmi fosse un pregio. Mi sentivo orgogliosa di essere malleabile, di essere “facile” da avere accanto.
La verità? Essere così accomodante mi faceva male. Mi rifugiavo dietro frasi come: “È così che mi viene richiesto” o “Va bene così, tanto è l’ambiente che lo richiede.”
Fin da piccoli ci insegnano che essere flessibili è fondamentale. Ci educano ad evitare conflitti ogni volta che possiamo, ad essere accomodanti, a dire “sì” senza pensarci troppo.
Ma, spesso, questa necessità di compiacere gli altri nasce dal desiderio di sentirci amabili. Vogliamo essere accettati, non dare fastidio, evitare gli scontri. Cresciamo così, cercando di essere disponibili a tutti i costi, senza renderci conto del prezzo che stiamo pagando: il sacrificio della nostra autenticità.
E allora viene da chiedersi: quei “sì” che diciamo li vogliamo davvero dire? Quei comportamenti che adottiamo ci appartengono davvero? Ci rende felici adattarci a contesti in cui non possiamo essere il nostro vero io?
Adattarsi può anche significare perdersi, questo ora l’ho capito.
Quella frase detta in terapia mi ha fatto ripensare a tutte le volte in cui ho messo da parte il mio “io” interiore. Momenti in cui non ho avuto il coraggio di essere attiva per il mio benessere. E quel senso di disagio, a volte, lo sento ancora oggi.
Ogni volta che ci pieghiamo a una situazione senza chiederci cosa desideriamo davvero, perdiamo un pezzo di noi stessi. E quei pezzi, credetemi, sono difficili da ricostruire.
Sì, adattarsi è fondamentale per vivere in armonia con gli altri. Ma non può e non deve diventare un ostacolo alla nostra serenità. Ritrovare il coraggio di essere “scomodi” è, in realtà, un atto d’amore verso noi stessi.
Alla fine, siamo noi a fare i conti con l’immagine nello specchio. Siamo noi a dover percorrere quel rettilineo che tutti chiamiamo vita. E questa vita è nostra. È la nostra storia.